L'uomo che siamo
Il Vichingo e il Sadico erano già seduti quando arrivò il
Cowboy. Se il Cowboy avesse saputo un minimo di lingua inglese si sarebbe
chiamato Gunslinger, invece no, lui era un cowboy, ma con le pistole. Certo.
Il Sadico, in penombra, occhi pallati e calotta cranica
completamente calva appariva come il Nosferatu. Si stava torturando la pelle
attorno alle unghie, perennemente nervoso. Il Vichingo straparlava narrando
chissà quale avventura e mimando il gesto di bere da un boccale di birra.
Il Cowboy fece il suo ingresso in pieno stile: scostando
la porta lentamente, ed entrando adagio, lasciando cigolare gli speroni ad ogni
passo. Aria guardinga e infastidita, le mani sotto al poncho preso da Clint
Eastwood in persona. Assieme a lui era entrata sabbia dal canyon.
Il Vichingo fece cenno all’amico di raggiungerlo al
tavolo.
<<il Rocker non sarà mai puntuale, sai com’è fatto
quello…>> disse sibilando il Sadico.
Il Cowboy non diede segno di essersela presa e si
sedette.
Il Sadico, a cui spesso piaceva accanirsi sugli indifesi
e mettere i puntini sulle “i” aveva preso a mordersi i bordi della lingua, come
faceva quando cadeva in preda ad una visione di tortura o di violenza.
Forse immaginava l’arrivo del Rocker ed il colpo letale
della Colt del Cowboy che lo centrava al petto, spegnendogli quel sorrisetto di
sfida e castigandolo per un ritardo di 5 o 6 anni.
Il Vichingo era un energumeno barbuto ed armato di tutto
punto. Pieno di cicatrici. Uno a cui piacevano le sfide, ritrovarsi nella
tempesta per poter gridare imprecazioni al vento con la sua voce virile e
dall’accento marcatamente nordico. Per lui era il massimo anche solo farsi
sorprendere da un acquazzone estivo in bici, lontano da casa e dover
riconquistare la propria camera da letto affrontando a muso duro una sfuriata
di Thor. Lo si vedeva poco ultimamente perché gli equilibri erano cambiati. Lui
era fatto di sogni e immagini ben precisi; scolpito da film e romanzi di
genere. Ma aveva avuto il suo spazio ed ora non era più il suo tempo.
Non era più il tempo di molte cose e ci si rammaricava
per questo, anche se ciò a cui avevano lasciato il posto era altrettanto buono,
bello ed importante, in cuor loro avrebbero preferito non rinunciare a nulla di
ciò che erano stati all’inizio; perché il Cowboy e il Vichingo andavano
sorprendentemente d’accordo, senza interferire mai nelle faccende altrui. A
volte il Sadico riusciva a togliersi qualche sfizio, ma era perlopiù qualcosa
che non era il caso di ricordare, no davvero.
Gli occhi del Cowboy si posarono per un secondo sulle
sedie vuote, personaggi che non si sarebbero più presentati e che ora, per non
rendere questo racconto una barzelletta non menzioneremo.
Tutti loro avevano il sentore che da un momento all’altro
qualcosa sarebbe successo e il Vichingo avrebbe lasciato il suo posto per
sempre, gli avrebbero detto “Vichingo per lei il programma finisce qui!” e
sarebbe svanito nel suo Walhalla; ma quel momento non era ancora giunto e lui
aveva ancora pagine su cui contare.
Era febbraio e quel mese era stracarico di date e
avvenimenti tristi e felici, alternati come i tasti neri tra quelli bianchi.
Il rombo di una moto innervosì il cavallo legato fuori
dalla porta, era arrivato anche l’ultimo.
Si capiva dal volume della musica.
Il Rocker era nel pieno della forma: indossava una
t-shirt rossa con impresso un cerchio di fiamme e sopra di esso una scritta
indecifrabile che ricordava il nome di una band americana, jeans strappati,
birra in mano, sorriso di chi ha una storia pazzesca da raccontare, ed un
aspetto che ricordava lo Springsteen degli anni d’oro, ma più dark, meno
american dream.
Perché aveva tardato così tanto? Storie di donne, sicuro.
Roba che il Sadico e il Vichingo potevano sognarsi!
Entrò attirando gli sguardi e li raggiunse al tavolo,
prese la sedia per lo schienale, la voltò e ci si sedette al contrario, tenendo
la bottiglia con due dita.
<<Ci sono! A che punto siete?>>
<<Dobbiamo cominciare, ma non qui. Questo posto non
è adatto. Andiamo via, sistemiamoci sull’erba, lontano>>
La proposta del Cowboy fu accettata subito e il Sadico
puntualizzò che avrebbero potuto anche trovarsi direttamente là.
Era vero, ma lungo la strada avrebbero potuto parlare.
Si alzarono contemporaneamente, salutarono il gestore,
barricato dietro una vetrata che ricordava più quella di un rivenditore di armi
illegale che quella di un bar di un oratorio. Costui ricambiò con un cenno e
tornò a sedersi immerso nel suo rosario.
Quando viaggiavano o si spostavano trovavano
quell’armonia, quella sintonia da confidenze e grandi rivelazioni che sboccia da
ragazzi quando piove e si è fermi in macchina e non si vuole andare a casa.
<<Ozzy ha detto che sulla lapide vorrebbe scritto
“i pipistrelli hanno un sapore di merda”>>
I soliti aneddoti musicali del Rocker; il cowboy sorrise
e non disse niente. La morte era un argomento che lo metteva a disagio. Il
Vichingo a quel punto disse <<credo che la cosa più bella sarebbe
scegliere una frase, una citazione, qualcosa di eterno, qualcosa che faccia parlare
di sé anche dopo che tutti si saranno scordati di...>>
<<Sarebbe meglio se non servisse. E poi dai, che
discorsi...!>>
<<Credo sarebbe bello lasciare uno spazio perché
gli amici scrivano ciò che sentono>>
<<Uno spazio...?>>
<<Un’area libera alle dediche>> spiegò il
Rocker
<<E una parte dove i bambini possano disegnare un
sole no?>> Intervenne il cowboy sarcastico.
Lui era così, secco quando voleva fare notare qualche sciocchezza,
ma anche involontariamente poetico. Cioè dai, quanto sarebbe dolce se sulla
lapide potessero venire i bambini - figli o nipoti - e lasciare un disegno? Una
casa col camino o un sole coi raggi. Dai, invece delle solite massime o degli
epitaffi scontati.
Non sarebbe la tomba di un guerriero che si rispetti
pensava ovviamente uno di loro, ma l’idea lo inteneriva.
“Com’é bello esser nelle tombe...” disse tra sé e sé il
sadico “dove l’umore della natura non penetra, né proiettile mai arriva”. Era un
verso di una poesia di Emily Dickinson di cui chissà come era venuto a
conoscenza ed ora gli era tornato alla mente.
Al Sadico piacevano cose come quella. D’inimmaginabile
tristezza, strazianti, opprimenti. Guardava avanti come se lo attendesse solo
la fine e nient’altro. Però amava storie di riscatto e vendetta, adorava
ripetersi strofe di canzoni crudeli come “...Di affidarli al boia fu un piacere
del tutto mio...” e contemporaneamente aveva una paura agghiacciante del vuoto che avrebbe potuto trovare dopo.
Tutto era perfetto finche l’appagamento rimaneva mentale e
al cervello arrivavano le giuste scariche di piacere più o meno sadiche.
Appena fuori dal paese c’era un prato che faceva al caso
loro, sotto i rami di un albero secolare ancora spoglio. Seduti in cerchio. Il Cowboy
masticava un filo d’erba, il Rocker guardava il cielo e pensava ad una poesia
che parlava del bello dei tramonti autunnali rispetto al fiorire della terra in
primavera, ma i versi esatti, prof, non li ricordava. L’autunno era ben lontano da quel febbraio e
nessuno ancora immaginava cosa avrebbero incontrato il mese successivo.
Ruppe il silenzio il Rocker dicendo: <<Dunque, si
voleva stilare una lista, no? Un nostro “ritratto scritto” a memoriam>>
<<IN memoriam... perpetua. >> Puntualizzò il
Sadico che non lo dava a vedere, ma era il più colto degli assi del mazzo.
<<Per ricordarci chi siamo e per non finire come gli altri che ora sono
assenti. >>
<<Va bene, e
che idea avevate? Deve suonare come una voce fuori campo alla fine del
film?>>
<<Come un inno, come una leggenda!>>
<<Che sia... sintetico, essenziale, sincero e non
imbarazzante; senza quell’aria da maestro che gli dai sempre tu Cowboy.>>
il Cowboy ancora non si era espresso, ma si sentì in imbarazzo con quell’appellativo.
Riprese il Sadico <<Non é detto che in futuro le
cose stiano diversamente, ma di certo ora, deve suonare per quello che siamo >>
<<E cosa siamo?>> domando quindi il Cowboy.
<<Siamo solo un ragazzo che non sa navigare>>
intervenne il Vichingo e per qualche istante nessuno disse niente.
<<Facciamolo tiepido come una confidenza a cuore
aperto, in totale fiducia, come quel gioco di lasciarsi cadere all’indietro>>
Suggerì il Sadico.
Il Rocker sorrise, perchè gli era venuta un’idea: <<Allora...
deve cominciare con “Credo” >>
“Credo nell'odore
della pioggia, e nel suono distorto delle chitarre.
Nei sorrisi prima di un saluto, e nei tramonti viola di novembre.
Credo che mi capirò solo quando sarà troppo tardi per avere soddisfazioni.
Non sono altro che una lastra di marmo rotta in quattro; dalle personalità irregolari.
Scrivete non ho rimpianti sulla mia tomba”
Nei sorrisi prima di un saluto, e nei tramonti viola di novembre.
Credo che mi capirò solo quando sarà troppo tardi per avere soddisfazioni.
Non sono altro che una lastra di marmo rotta in quattro; dalle personalità irregolari.
Scrivete non ho rimpianti sulla mia tomba”
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